Con l’entrata in vigore della nuova Politica Agricola Comunitaria, per l’azienda agricola con superficie superiore a 15 ha coltivati a seminativo (escluse fondamentalmente le superfici coltivate in accordo con il regolamento per l’agricoltura biologica, coltivate a riso o a prati o destinate a colture foraggere), è prevista l’applicazione di una serie di vincoli fino ad oggi non contemplati che rientrano nel nome di “greening”.
Tale punto del Regolamento comporta un vero e proprio cambiamento a livello gestionale e per questo è stato in questi mesi assai dibattuto. In questa sede proponiamo, senza alcuna pretesa di esaustività, una sintesi degli aspetti più importanti.
Innanzitutto, per inquadrare la questione, il greening è stato concepito e reso parte integrante della nuova Politica Comunitaria con lo scopo di aumentare l’incidenza di aree verdi all’interno delle superfici coltivate a coltura da reddito: greening è infatti un termine la cui traduzione in italiano risulta appunta “inverdimento”, un termine poco conosciuto in ambiente agricolo, ma destinato a segnare il passo dell’agricoltura dei prossimi anni principalmente per due motivi:
a) interesserà innanzitutto le aziende di medio-grandi dimensioni che si trovano in pianura e che negli anni hanno specializzato la produzione su poche colture a seminativo
b) l’adozione dei criteri di greening costituisce il presupposto per poter accedere ai pagamenti supplementari rispetto al pagamento di base previsto in base ai titoli in possesso dell’azienda.
Dal punto di vista pratico, a partire dal 1° gennaio 2015 l’azienda agricola sottoposta a regime di greening dovrà fondamentalmente sottostare ad alcuni obblighi:
1) adottare la diversificazione colturale: a partire da superfici coltivate superiori a 30 ha l’azienda dovrà mettere a dimora almeno 3 colture differenti, facendo attenzione che la coltura prevalente, che occupa cioè la maggior parte della superficie, non deve interessare più del 75% dell’intera superficie aziendale, mentre per le altre due colture le % vanno a completare il 100% della superficie coltivata. Da questo punto di vista è molto importante tenere in considerazione il criterio con cui vengono esaminate le colture presenti in azienda: i secondi raccolti infatti non possono essere considerati utili alla diversificazione e per un’azienda con più di 30 ha coltivati a seminativo la semina di mais in secondo raccolto in successione ad un cereale autunno vernino o da sfalcio primaverile (es., avvicendamento triticale-mais o loietto-mais) in realtà conta ai fini del calcolo come una sola coltura, quella presente nel periodo invernale (nel nostro esempio il triticale o il loietto);
2) destinare almeno il 5% della superficie aziendale coltivabile a seminativo alla creazione di aree di interesse ecologico, indicate nel testo del Regolamento con l’abbreviazione EFA. In proposito è bene fare alcune precisazioni dalla ricaduta pratica rilevante:
a) la misura del 5% viene calcolata sugli ettari oggetto del pagamento di base: questo significa che un’ipotetica azienda con 100 ha coltivati a seminativo deve destinare 5 ha a questa prescrizione;
b) l’entità effettiva della superficie destinata a tali aree in realtà può essere maggiore a seconda dello strumento che l’azienda decida di impiegare. Il Ministero ha infatti indicato che possono essere utilizzati a tale scopo alcuni elementi tipici del nostro paesaggio (es., muretti a secco in pietra; gruppi di alberi intercalati ai seminativi con chiome che si toccano o si sovrappongono o boschetti con superficie massima di 0,3 ettari; alberi isolati e disposti in filari con chioma del diametro minimo di 4 metri ed uno spazio tra le chiome non superiore ai 5 metri; siepi o fasce alberate di larghezza sino a 10 metri; fasce di bordo dei campi coltivati larghe tra 1 e 20 metri e non destinate a produzione agricola; canali di irrigazione; ecc.), così come possono essere conteggiati ai fini della superficie complessivamente da destinare a tali aree anche le superfici a riposo permanente, le superfici coltivate con colture azotofissatrici o colture di copertura.
Nello specifico, per le ultime due tipologie di aree coltivate devono essere però applicati dei coefficienti di conversione decrescenti.
Se un’azienda di 200 ha decide di conteggiare come superficie a greening quella destinata a colture azotofissatrici (soia, sulla, trifogli, ecc.) deve applicare un coefficiente di conversione pari a 0,7 e quindi si avrà che la superficie effettiva sarà pari a: 200 ha x 5% : 0,7 = 15 ha.
Se invece la stessa azienda decide di destinare a greening la superficie su cui sono state adottate delle colture di copertura il coefficiente di conversione è più basso e pari a 0,3 e quindi si avrà che la superficie effettiva sarà pari a: 200 ha x 5% : 0,3 = 34 ha.
Anche se può sembrare una scelta non conveniente è utile considerare che l’introduzione delle colture di copertura ad esempio si accompagna all’adozione di alcune misure finanziate dai Piani di Sviluppo Regionali e quindi apre la strada ad un altro capitolo di finanziamento, oltre ad avere un’indiscussa valenza agronomica. A tale scopo può essere utile consultare la guida pratica scaricabile gratuitamente dal sito www.colturedicopertura.com.
c) nell’ambito delle proprie mansioni legislative l’Italia, attraverso il MiPAF, sembra intenzionata a non consentire l’adozione all’interno della quota di superficie destinata ad interesse ecologico le colture azotofissatrici nelle aree vulnerabili alla lisciviazione dei nitrati.
Questa decisione – che tecnicamente non sembra essere suffragata da riscontri che evidenzino l’incidenza significativa delle azotofissatrici sulla lisciviazione dei nitrati – se tradotta in testo di legge, potrebbe avere effetti molto pesanti sul bilancio delle aziende, soprattutto se si considera che nell’attuale momento di congiuntura economica alcune specie come la soia potrebbero essere strumento a garanzia di reddito oltre che promotrici di interessanti filiere di produzione.